Teatro



Aprite il sipario l’opera è pronta.  Evocherà tutto ciò che voi non avete il coraggio di vedere. Spiritica. Vi abbraccerà come morbide tende profumate di lavanda, aprendovi al sole. Vi metterà ai  margini. Sposterà le vostre vesti. Scivolando. Vi  annuserà con forza, soffiando su  ciò che vi copre proteggendovi. Vi metterà a nudo davanti a ciò che più vi fa vergognare. Vi farà pensare al desiderio di fuggire. Vi metterà di fronte a quel pensiero che per un attimo vi ha fatto credere di non essere quella persona che immaginavate. Esattamente quella persona che eravate in quell’istante. In quel frammento che come una scheggia impazzita è schizzata via dal vostro cervello. Era li, in quell’angolo che nemmeno voi pensavate esistesse. 
Si insinuerà nel momento in cui un brivido vi percorrerà la schiena. Si insinuerà  nel gesto di una mano che sfiora la bocca. Nell'incavo di una ruga che allo specchio dice da quanto tempo non sentivate qualcosa. Che vi riempiva. Ehi, cos’è quel movimento?  Il vostro stomaco rientra. Spasima. Sempre più dentro.Fugge. In fondo.Le costole. Cerca rifugio nella cassa toracica. Il vostro stomaco si ricorda.  Si digerisce. Vorrebbe  placare il suo bisogno di assimilazione. Cerca la sua dipendenza. Nei tessuti. Cerca il sapore della carne. I gesti hanno in sè le grandi opere. Nei gesti si distrugge la carne. Nei gesti il rossore del viso dell'altro. Nei gesti un'immagine.Un gesto, e voi, deglutirete il pensiero.

Scacco alla Regina

Giochi di maschere e specchi
chi guarda non è se stesso
chi cerca non trova
le ombre guidano il gioco degli scacchi
senza il Re e la Regina
si alternano le pedine.

Quadrati neri e bianchi
si sciolgono in pavimenti psichedelici
mentre la Dama vestita di rosso 
ne osserva i movimenti
come un'Alice persa nel labirinto
attende una guida 
in un mondo che non le appartiene.




Borderline

La musica mi copre i pensieri. 
Questa stanza è impregnata di discorsi futili, suoni cadenzati che escono dalle bocche per occupare il tempo. 
C'è chiasso nella mia testa. 
Parole alla rinfusa che vorrebbero nascere. 
Profumare di stupore.
 Io ho voglia di nascere.
 Mi vedo lontana. 
Vorrei raccontarmi una storia come se non mi conoscessi. La mia esistenza è un anedotto in frammenti.Un foglio di carta scritto e accartocciato. Da riscrivere. Correggere. Stirare. 
Cammino su un filo. 
Attorno a me appesi ci sono sguardi.Visi immobili e silenziosi.  Alberi di gambe vicino alle mie,mazzolini di occhi.
 Odorano ancora di  primavere distanti. 
 Odorano i vasi di vermi. 
Barattoli di frasi che cadono in un precipizio. Parole sgocciolanti. Pioggia di Labbra fradice. 
Appesi, ci sono i fianchi. Cuori con un buco al centro. 
Vorrei banchettare. 
Vomitarmi. 
Tirarmi fuori gli organi dalla gola, nodi di sassi.
 Implodere.
 Vorrei la mia primavera.

Seguimi

Ho fame di un sentito da non contenere.
Ho fame di mani che creano forme illusorie.
Ho fame di occhi che hanno ancora uno sguardo. 
Ho fame di gambe che si incrociano eleganti.
Ho fame di braccia che avvinghiano  potenti.
Ho fame di ciglia che si muovono lente.
Ho fame di dita che si moltiplicano.
Ho fame di arabeschi sul corpo.
Ho fame di silenzio ipnotico.






D'acciaio che stride

Cadevano candele dal soffitto. Il lampadario oscillava. Cadevano sul letto.  Una pioggia bruciante. Tra le coperte pezzi di cera.Quella sagoma bianca. Quel canto. Posso parlare con te? Ti prego abbracciami ancora.
Le pareti della stanza si sciolgono in pensieri. Il tempo non ha più senso di esistere ingabbiato in un orologio. Il nostro tempo è scandito dagli avvenimenti, cosi come la terra si addormenta e si rigenera ciclicamente. I'importanza  di tutto ciò che è esterno al nostro corpo è direttamente proporzionale al peso che gli attribuiamo. E tutto è percezione. Ti prego abbracciami ancora. Posso parlare con te? Le tende raccontano di storie lontane. Vorrei vestirmi di veli e ballare nuda. Dispiegarmi nello spazio.Vorrei dare fuoco alle mani per sentirne il calore. Il vento entra potente nei miei occhi. Apre i cassetti. L'armadio si spalanca. Ti prego abbracciami ancora.
Mi muovevo all'interno di buste di plastica nere. Evocavo emozioni in uno spazio metropolitano gommoso e veloce. Il suo movimento era una danza di iniziazione. Cercavo un contatto. Vorrei urlare agli alberi. Vanificare la mente. Urlare agli ingranaggi meccanici, battere l'acciaio contro l'acciaio. Vedermi riflessa e togliere la maschera. Fare l'amore con l'universo. Perdermi in un orgasmo d'acqua e fango. Perdermi nel tempo. Divenire una sagoma bianca. Senza carne. D'acciaio che stride.

Nessun suono

Non parlare. Non dire nulla. Smembrami. Divora il pulito. La luce. Non riesco a muovermi ora. Ti sto maledicendo. Sto maledicendo quello che provo. Sto maledicendo il corpo che mi contiene. Vorrei esplodere. Scarnificare il tuo cranio e raccogliere in un secchio il sangue. Dipingere le mie pareti di rosso. Berne un po. Sporcarmi. Sentirti dentro. Succhiarti gli occhi dopo averli appoggiati sul comodino. Guardarli fissi. Farli rotolare. Schiacciarti lo sguardo. Vestirmi con una collana di dita. Disporle in cerchio infilzate nel fegato. Infilzate nel mio collo. Fare del resto un cumulo di macerie. Un cumulo di carne. Tutto è carne. Molle carne con cui creare forme innaturali. Nuove. Luccicanti.

Evocazione


Corrono i demoni alle mie spalle
Sento il  respiro sul collo
Lungo il sentiero, laggiù nella valle

La dama alza le braccia
Il bianco vestito
Ecco la traccia
Si sporca di sangue

che il rituale abbia inizio

lo specchio rivela
la stella  protegge
la fiamma si spegne
e il cosmo risponde

danzano le vergini intorno al fuoco
danzano intorno al macabro gioco
assaporate dall’assemblea
costituita per la sua dea

la folata di vento
inquieta e distrugge
e nel cerchio lento
la dama si strugge

la notte sovrana
avrà la sua regina
dalla sua sottana
nascerà una bambina

demoni in festa
in un orgasmo lunare
alla dama mesta
non resta che urlare


Dis-affezione

Questo autunno non vuole finire. 
Questo autunno è una stagione di dodici mesi. 
Questo autunno la svegliava. 
Cucito a strati sulla sua pelle. Su cumuli di scarpe spaiate. Senza piedi. I piedi che vanno in coppia. Scoppiati. Uno da una parte, uno dall'altra. Cucito sopra un dis-ordine e un dis-sapore che ogni cosa che leccava aveva. Quando non capisci le cose le lecchi. La bocca, è il tramite per capire perchè diavolo non siamo più circondati da acqua e caldo. Niente acqua. Tutto solido e spigoloso. E noi allora lo lecchiamo. Lecchiamo per prendere familiarità. E tutto è sempre solido. Ma umido. E le cose ci sembrano meno brutte.
Leccava le giornate. Ogni cosa era in un posto sbagliato. Una da una parte, una dall'altra. Camminava in un cammino spaiato.Senza piedi. Tra foglie secche e pensieri masticati. Indossava l'autunno.
Il risveglio-lecca lecca era d'obbligo ogni mattina. Li succhiava quei rimasugli di  tormenti nottambuli appena finiti. Maledetti bastardi, i ricordi, nessuno lo sa come si trasformano quando si raggiunge l'invisibile. Quando chiudi gli occhi al reale. Li succhiava, ingoiava e digeriva. Avrebbe voluto anche espellerli. Ma questo è un altro discorso. Proseguiva la giornata nel dis- senso, tra il dis-ordine e il dis-sapore che aveva intorno. Tutto decisamente poco umido, negandolo.
Il sole si frantumava in luce.Infilzava e rendeva visibile l'esterno che da un punto qualunque osservava. Ne allungava cosi le ombre. Il dettaglio rischiarato e la sua parte uniforme. Tagliati. Vestiti di bellezza.Resi visibili. Insieme. In effetti se le cose non avessero anima, non potrebbero avere ombre.Ma sarebbero incomplete illuminate.
Nel dis-astro, aspettava l'estate, che dopo dodici mesi sarebbe arrivata senza mezze misure. Già. In attesa di quel caldo che prima o poi avrebbe dis-gelato foglie, piedi e lecca lecca.  Sciogliendoli in  gusti cosi variegati che la sua bocca non avrebbe avuto pace. In un ordine e un sapore che forse avrebbe avuto senso. Un senso dis-armonico. Svestito di autunno.Cucito,però,a strati.Sulla pelle.


Linea di confine


Il corpo è solo un tramite. Nel corpo risiede lo spirito, si innalza quando prova emozione, si distrugge quando diventa oggetto. Nella mente risiede il bisogno di essere amati. Il corpo è il tramite per toccare l'emozione. Nell'amore, l'inganno per lo spirito. La mente governa tutto.  Le parole violente  uccidono l'emozione e riducono l'altro ad oggetto, forza di un controllo effimero,  forza brutale che  salva dallo scambio. Non c'è canto negli oggetti. La mente si nutre dell'opposto di cui necessita, e crescono alberi intricati al suo interno, ricoprono il corpo, lo spirito avvizzisce. 
Il mio involucro necessita di protezione. Non provo amore, il mio amore è distorto.
È distorto il mio amore che grida. La prima volta, volevo urlargli in faccia che non volevo la sua devozione, l’ho spinto ad essere violento, volevo la sua violenza su di me, volevo annullarmi, provocarlo. La gentilezza mi feriva. Mi feriva il suo modo di guardarmi, mi ferivano le sue attenzioni, la gabbia di cristallo in cui stavo. Come una belva mi dibattevo e stavo muta, il dolore doveva essere trasferito, volevo che diventasse belva, come me, due animali in sacrificio su un altare. Incitavo il suo lato oscuro, vieni fuori pensavo, non chiedermi nulla, devastami, non devi proteggermi. Dipendenza dondolante, la mia condizione animalesca non era cambiata, dalla  gabbia ero uscita con un guinzaglio, pensavo che innalzando la potenza, l’avrei legato per sempre, cosi come un cane si sacrifica al suo padrone, vittima di un giogo di cui io ero il carnefice. La mia inquietudine doveva essere placata, lo lasciavo fare per sentirsi enorme, mio pari, un magnifico vuoto a rendere.
Diveniva altro, il delirio che si infrangeva sugli scogli, aveva bisogno di concretezza fisica per materializzarlo e finirlo, nell’esaltazione del momento ero piccola, sbranata, paludosa, era quello che volevo, essere stagnante. Divenire un oggetto. Scomparire.  Uno sfogo di malessere e di insicurezze. Di rabbia. Un capro espiatorio. Polverizzami. Risorgerò. Nel vento mi alzerò e sarò leggera. Profumerò di incenso e calendula. Sarò pulita come un raggio che entra da una fessura,  nella luce, la polvere danzerà.

Corsa onirica

Correvo tra gli alberi deformi, 
si allungavano  mani scheletriche dai rami, 
correvo e la voce mi chiamava.
Tra bambole di porcellana il viso di un fool ghignante 
reclamava diritti che non aveva,
da tempi che non ricordo, 
nella mia infanzia lo incontravo là, 
nello specchio.
Correvo e i miei capelli raccontavano una storia.
Sentivo le sue mani toccarmi i fianchi, 
echeggiava nella stanza la sua risata,
diceva che ero sua.
Correvo tra bambini senza volto,
senza volto era anche il mio,
appesi in un tendone da circo, 
gli occhi senza sguardo, 
volevo tagliare loro la gola.
Correvo tra bozzoli bianchi di donne, 
teli di seta candidi le avvolgevano, 
ci camminavo sopra
sentivo le ossa scricchiolare sotto di me.
Correvo avvolta da lingue umide,
mi bagnavano il collo, 
mi invadevano il corpo come serpi bramose.
Correvo e le mie mani cantavano una storia,
una voce mi cadeva addosso.
Due date.
La nebbia mi abbraccia, 
finalmente sono a casa,
la mia foto non ha nemmeno un fiore,
una donna dietro di me piange.


Aroma in controluce

Teneva in mano il suo bicchiere di whisky di poco conto, lo faceva ruotare, agitando in un moto circolare il liquido ambrato al suo interno. In penombra, ad ogni pensiero legato ad una goccia, prendeva dal pacchetto una sigaretta, la portava alla bocca, la accendeva e fumava un ricordo.
Perdendosi nel gusto forte e aspro di tabacco e alcol, perdendosi ancora una volta nei cassetti spinosi della sua mente.
Il pallore della luna fuori illuminava appena la stanza in cui era seduta. Tutto sembrava avvolto da una nebbia persistente, anche il mondo intorno partecipava al suo oblio.
Quasi si sentiva soffocare. Si rese conto che tutto quello che aveva costruito stava iniziando a vacillare, tutto ciò in cui aveva creduto era vittima di scosse di assestamento, tremolante, riceveva colpi e frustate che aprivano lacerazioni profonde. Lei ci metteva del sale sopra. Ad ogni ferita, ne aumentava il dolore fino a non sentirlo più. Finchè il suo corpo la supplicava di smetterla e di allontanarlo da se.Il vento fuori la inquietava.
Attraversava i sentieri in cui il buio la chiamava, la sua casa era il buio, lei era il buio.
La sua vita era una bandiera che sventolava conoscendo già  la direzione del vento. Era possibile starle vicino solo con amore. Tutto il resto lo avrebbe inghiottito e annullato.
Le dissero "ho temuto il tuo dolore. Dio fai che non la veda cosi. La cattiveria con cui sei tornata da me sarebbe stata insostenibile, i tuoi occhi sono mutati, gridavano, c'era un voragine profonda che attirava a se,un magnetismo deleterio,  ti avrei temuta se non avessi capito che ti stavi donando a me nuda."
Voleva rispondere:grazie. Non disse nulla. Voleva rispondere: abbracciami. Non disse nulla. Voleva rispondere. Non disse nulla.Voleva rispondere: prendi la mia mano, toccami, perdonami. Non disse nulla.
Si guardava allo specchio cercandosi, prima che il suo cuore venisse infilato in un macinino da caffè. Ora, non ne sentiva più nemmeno l'aroma.


Dagida

Andavo avanti sussultando e tossendo tutto quel veleno, i sorrisi mi sembravano scheletri che si ripercuotevano nelle ombre.
La mia testa, sempre distaccata, moriva ad ogni pensiero.
Un parto doloroso si divaricava in mezzo agli occhi, spasmodico di liquidi, il mio corpo si ricopriva di edera fino ad annullarsi.

Le voci dal passato mi divorano, risvegliate da un poco che non è nulla, ma affilate mi tagliano e mi devastano. Ho il cuore pieno di spilli, come una bambola di pezza a cui qualcuno ha fatto una fattura.

Non so quale strada percorrere, chiusa in un barattolo di vetro che tempo fa avevo rotto, mi ci hanno rinfilato.
Non so che farmene del mio bagaglio, è pesante, tremendamente pesante.

La creta con cui mi hanno plasmata era putrida, marcia e piena di demoni, un ricettacolo di demoni, un contenitore per demoni.

Invidio chi non pensa. Invidio chi non si sofferma sulle cose. Chi non guarda oltre.
Non guardarmi.
Non guardare la disperazione, non abbracciare il buio.
Non regalarmi nulla che non puoi realmente darmi.
Non cercare di riempirmi con altro vuoto.
Strabordo,sono un fiume in inverno, bramo il canto delle cose, bramo il lirismo dell'esistenza.
Voglio azzannarmi il collo, sbranarmi.

Baciami adesso. Uccidimi. Voglio morire. Di morte lenta. Dolce. Un po.

Cera calda

Quella notte lo sentiva avanzare nel suo corpo, quel fremito che già aveva sperimentato, quello squarcio che non riusciva a contrastare, per quanto lottasse contro. Aveva fame.
Avanzava e la divorava come la foschia divora un bosco dal basso e ne annulla i contorni.
Tutto era indefinito al suo interno, una macchia nera si estendeva dalle dita fino a toccare la profondità del suo essere.
Voleva affondarci le mani, aveva creduto in qualcosa, lei, che non credeva più in nulla.
Si era regalata un po di luce, ma era fievole e tremolante, la candela si consuma velocemente, tutto quel che resta è solo cera sciolta. Vedeva in quell'ammasso informe tutto il suo sentito, che bruciava e componeva movimenti astratti, sculture casuali, plasmate da un calore che liquefa.
Avrebbe voluto quella cera calda sul corpo, avrebbe voluto bruciarsi la pelle, lasciarsi un segno indelebile nella carne, per sentire qualcosa, per non sentire tutto il resto.

In vetro


Lontano da se stessi,
o si scopre un nuovo se
o ci si sente tremendamente
dispersi in un buco nero.
Vagando alla ricerca di un viandante,
che come noi si è perso nella nebbia,
in lontananza,
riusciremo forse a scorgere una sagoma,
infinita e scura,
ovattata nell'oblio della nostra campana di vetro.
Se la palla si rovescia,nevica.

Fusione


La notte, la portava con se sempre. Trasmetteva il buio a ogni tocco lieve, non c'era purezza nei gesti ma solamente un cielo stellato coperto di nubi. Nell'eclissi una nebulosa danzava senza sosta. Il suo moto diceva addio ad ogni molecola di cui era composta; ogni molecola si univa e si scomponeva dipingendo un quadro astratto; nei colori, gli arabeschi del destino che beffardo rideva tirando i suoi fili.
Nell'oscurità la luce intermittente e il canto del vento, cullavano la piuma su cui era seduta.

Vertigine


Nel profondo, non aveva smesso di amare.
Ma ogni volta che il pensiero si faceva largo nella sua mente
era come urlare nella gola di una montagna,
poteva sentirne l'eco,
la pelle scivolare via,
il suo corpo inondarsi di sangue.

Moto


E arriva un giorno in cui ti guardi allo specchio e non riconosci l'estraneo che vedi.Troppe vite in una sola.
Troppi occhi dentro i tuoi che non vedono a fondo.
Il tuo posto nel mondo non può essere quello deciso alla tua nascita.
L'anima è sola, la tendenza all'oltre non può avere radici.
Gli alberi non sono fatti per il mutamento.
Anima inquieta di acqua e di sangue, trascina, straripa, inonda, distrugge.
il Liquido fermo  trascina a fondo, nel plumbeo silenzio, senz'aria, nè moto, tace.
Si fa strada tra rocce e terra, oltrepassa le barriere. Si agita col vento.
Chiuso nel barattolo, vittima del suo custode che la osserva, la forza vien meno. La trasparenza si incupisce.
Lasciato a se stesso, si fonde col rosso delle vene nello scorrere perpetuo della vita.
In attesa. Di placare la sete. Di fondersi in qualcos'altro.

Caleidoscopio


I ricordi sono maledetti, ti fanno sentire le stesse cose che provavi quando un bel giorno hai deciso di inscatolarli nell'anfratto più buio e nascosto della tua mente...
anche solo sfiorando una di quelle scatole, puoi sentirne l'eco nel torace, a metà strada proprio li, tra la gola che si fa secca e il battito che fa da colonna sonora alle immagini evocate.

Non dirlo


Parole confuse nell'aria
si accavallano insonorizzate
nei cassetti pieni di maschere
nere e scheletriche
un occhio solo che guarda
il travestito su un mucchio di merda
ricoperto da un prato.
La Bestia infilzata
non sente il dolore
trafitta e anestetizzata
dalla Fenice che infiamma
a ogni suo risorgere.
Sul capo il mostro della Ragione
immobile e vitreo, cupamente osserva
e assorbe.
Dolce la fitta
che ti fa sentir vivo
nessuna la differenza
 tra il male e il mero piacere.
Lecca l'odore nell'amplesso elettronico
di corpo di plastica
di  cuore inchiodato al pavimento.
E ancora,gli idoli stan li,
ancora a guardarti
appesi, mossi dall'aria di un ventilatore
la sola cosa che li rende reali
pagani e cristiani immersi nel suono
cullato dall'ossigeno di una cabina del telefono.
"Magari avere un gettone
tu.. tu tu.. tu.. tu tu
magari avere un numero da poter chiamare.
tu.. tu tu... tu..tu  tu
e poter finalmente, parlare."

Come farai a capire


Come farai a capire
In un mare di pietre
Nuotare senz’acqua
Vomitare il nero
E guardarlo

La luce ucciderebbe la falena
E la musica accompagna la danza
I viandanti sono tanti
Ma nessuno si incontra ancora

La nebbia ci avvolge
E tutto sembra uguale
Ed era uguale anche prima
Ma ora il peso è troppo

Lo senti il vuoto
Lo senti mentre
Ci nuoti dentro?
Lo senti arrivare

un bicchiere di brandy
la  sigaretta alla bocca
il frastuono all’esterno
e un gesto automatico

lo sguardo annoiato
si specchia negli altri
li sente parlare
ma immobile ascolta

la notte l’avvolge
in una preghiera
un barbone  spicciola
per mangiare o drogarsi

la mente divaga
è lontano da qui
dai muri, risate, parole
lontano nascosta

tabacco e alcol
quanti tagli, quante cose inscatolate
quante cose bruciate
quante lacrime buttate

regalate  alla notte
che  pensavi fosse amica
la tua carne non ha segni
indelebili come ciò che sei ora.

Memorie di carne fresca


Quante volte ti sei chiesto
se le cose accadono per un motivo.
Quante volte ti sei chiesto
perché sei fuori luogo,
in un mondo che ti sta stretto.
Guardi fuori, lontano, al futuro
ma il vuoto che hai dentro
ti accompagna perenne.
Odio la tua essenza
che non va d’accordo con la mia.
Odio il tuo fare saccente
che non dice mai niente.
Scatola ben incartata e illusa,
la delusione, di non trovare nulla
una volta aperta.
Ti riempi di parole e di fare non tuoi,
hai assorbito la mia anima
che ora stanca vaga per sentirsi appagata,
ogni volta che ti vedo,
un colpo secco e imprevisto,
il vetro si fila e traballa
come quando vedi un morto davanti a te,
dopo che hai elaborato il lutto.
La bellezza che vedevo
era uno spiraglio di luce che
ti ho regalato,
assaporavo con gusto
i vermi che ti compongono,
senza vedere che ero il loro cibo.

Decomposizione mattutina

Di tutti gli amanti che aveva avuto, lui era il più strano. Parlava per ore con lei, di tutto un po,di tanto e di nulla, la sua vasta cultura l’affascinava. Aveva avuto ancora una volta l’illusione di essere diventata, per un breve momento, importante per qualcuno, ma quella sensazione svaniva puntuale all’alba, con l’arrivo del sole. Era come se la luce si portasse via il sogno lucido in cui si abbandonava la notte, avvolta  dai profumi e dalle sensazioni dei corpi che dormivano accanto a lei. La mattina, al suo risveglio, vedeva le cose cosi com’erano, il distacco e l’estraneità  si facevano avanti, bussavano alla porta della suggestione  e la riportavano in quello stato dal quale voleva fuggire. Era sola. Le persone hanno necessità di calore, si ripeteva sempre. Il fatto è che alcuni riescono a vivere sereni senza aver alcun contatto con gli altri, c’è chi cerca il calore nella natura, chi nei figli, chi negli amici, lei lo ricercava dentro di se ma ogni volta ne rimaneva delusa. Si diceva arida, consumata da un dolore profondo e da una insoddisfazione perenne. Tutto quanto, nonostante fossero trascorsi già quattro lunghi anni la riportava a lui, alla sua immagine indelebile nella sua mente e contemporaneamente sentiva quel crampo allo stomaco tipico di una mancanza. Si dice che la sede dei sentimenti sia il cuore, proprio per quella strana sensazione li, in mezzo al petto che ti viene quando sei innamorato e ti riempie, ti inonda di quel calore che tutti vanno cercando e che diventa poi un mostro vorace, che scava in fondo quando non si ha più accanto la persona amata. L’amore è una malattia. Ne ha tutti i sintomi.

Buonismo sognante



Tante sono le domande che mi faccio e cosi poche le risposte che ottengo.
A volte fantastico e viaggio con la mente e attraverso il mondo con i miei occhi e passo da città esotiche a profumi mai sentiti, mi immergo in una natura rigogliosa, quasi amazzonica, a fiumi e laghi in cui specchiarmi in un gioco di colori che sembrano il vestito di un’arlecchino.
A volte faccio dei pensieri strani, su come arrivare alla luna mettendo una sopra l’altra le formiche del mondo, o prendere un’astronave per andare sott’acqua o su come dormire sul soffitto o su come accarezzare dei cani rabbiosi docili come agnelli.

 Penso che il mondo sarebbe più bello se le cose che noi consideriamo normali d’un tratto si rovesciassero. Non so come spiegarvi. Forse è follia. Forse i pazzi lo vedono cosi e noi non lo capiamo, perché non lo vediamo, alienati come siamo.

Dovremmo toglierci le maschere ed essere felici  e non tristi .. Ah che meraviglia se ci fosse solo l’amore al mondo!!!
Saremmo tutti leggeri e voleremo davvero a in alto e vedremo il mondo dalla nostra leggerezza ,seguire una musica che ci viene da dentro e danzare e danzare, sempre,  e sembrare vento o mare che sia calmo o in tempesta seguendo  le emozioni.
Ma che vi posso dire…siamo qui e per andare avanti dovremmo lasciare alle spalle il passato, vivere il presente e protenderci verso il futuro salutando per sempre ciò che ci impedisce di essere leggeri.

Fluidità


L'aria è ferma,
rumori in sottofondo sembrano estranei
al quadro in cui sei immerso.
Anche le onde come mercurio liquido
sono in attesa di agitarsi.
Tutto intorno si muove
ma non scuote l'acqua.
Nell'oscurità le due sfere,
specchi simmetrici
si guardano a vicenda,
una realee distante, l'altra la sua proiezione fluida.
Si amplifica, ritmato dallo sgonfiarsi e
gonfiarsi irregolare della cassa toracica,
il suono,
tamburi echeggiano come prima di un macabro rituale,
il battito,
incessante, insopportabile, esasperante,
nella mente.
Senti il richiamo dell'orizzonte lontano
nell'ardente desiderio di avere quiete.

Nuotando tra i ciottoli della città


Per quanto mi sforzi non riesco a dimenticare, le sere trascorse a parlare, in una città da scoprire, e i locali da visitare, le cene tra amici che finivano sempre con troppo alcol in corpo e un sonno felice e profondo, di stanchezza e di vita, la musica negli anditi, qualcuno che canta, qualcuno che chiacchiera, il suono della chitarra, gli occhi nuovi da indagare, e la stanza troppo piccola, e gli esami da preparare, i litigi con chi stava dall'altra parte e i caffè senza finei, gli orari da non rispettare e le nuove canzoni da ascoltare,i vicoli della città, i vestiti colorati, ma tu perchè sei sempre cosi cupa ma cupa non lo sei, e il compleanno che sai solo tu, l'alloro sulla testa e la testa da un'altra parte, per chi era a casa e non ha visto, non ha sentito, ma tutto era li, col cuore stretto nel pugno, tanto stretto da far male, e di nuovo altre estati e altri inverni, le lunghe interminabili trasferte in macchina, musica a palla, i pensieri che viaggiano col contachilometri, sulle frequenze, e ogni partenza era un dubbio, di ciò che lasciavi per poco tempo che sembrava un'eternità per la paura di non trovarlo al ritorno, e il palco, le maschere, il doppio, e le sere a mostrarti nuda davanti a un tavolo del bar e a dire in silenzio ecco il mio nero, ti prego alleggeriscimi, ascoltami, e Alghero e la sua magia, il profumo delle barche e del pesce arrosto, a passeggio tra i turisti che  fanno sentire un po turista anche  te, nella tua terra, le bancarelle e il sale addosso, la notte, quando mi raccontavi il mio sogno, le gallerie d'arte, e Paolo Benvegnù, e racconti di un tempo che non ho vissuto, e la polvere dei concerti, e la campagna e il suono dell'armonica, le scommesse a biliardo e le fotografie in bianco e nero, le luci della petrolchimica che sembrano quelle di un parco giochi,e poi ci pensi e non sono nè un parco nè un gioco, le canzoni rock, i balli a centro pista per animare la serata, e farsi trascinare e non pensare ed essere felici con poco, con la mente che va e assorbe, e i baci rubati e i segreti da nascondere, e le lunghe telefonate, e gli abbracci e le partenze, e il via vai continuo, e le battute coi baristi, e l'Argentiera e le scarpate di roccia e metallo, e Stintino senza profondità,e il Duomo, e il jazz e le canzoni napoletane come leitmotiv sempre dopo la pasta, e le alternative, e nostri ideali, e la strada fatta insieme nuotando tra ciottoli della città e il silenzio di questa sera.

Notte sovrana


Inemozionale,
inesistente,
infetta e
insana notte,
ventre di sogni ormai putridi,
culla la mia inquietudine,
placa la mia risacca.
Addormentami,
in un sonno propiziatorio,
affinchè il sole domattina
non sia affilato sul mio viso.

Risveglio


Sollevati.
Scuoti il torpore dalle membra assopite.
Il sole oggi mi taglia il volto, è più affilato del solito.
Lame invadenti per gli occhi e il cuore,
trafiggono e si fanno liquido sotto le palpebre,
sotto gli sferici vitrei si dice siano lo specchio dell'anima.
Ma quale anima piange davanti al sole?
Quelle frastagliate, abbandonate a loro stesse.
Quelle per cui ci vorrebbe non uno ma diversi punti di sutura e che sempre
rimarrebbero deturpate.
Quelle che la notte, vorrebbero fondersi con essa.
Quelle placate solo dal sonno,
quando Morfeo glielo consente,
nei giorni in cui non emergono i Demoni dagli abissi
della mente.

Sulla strada di casa

Fanculo la quiete, pensava, mentre un'aria gelida le attraversava il corpo come schegge di ghiaccio nei punti dov'era più scoperta.
Non sapeva più se il freddo che sentiva provenisse dal vento che agitava tutto ciò che si muoveva intorno a lei, o dal suo sentito, che aveva la stessa temperatura. Fanculo la quiete, ripetè.

Lasciate che io sia.


·
Lasciate il mio male di vivere,
la mia distorsione,
non sono fatta di preghiere e dolcezze,
lasciate i miei vuoti a rendere,
il mio corpo svenduto  o condiviso,
la mia carne ferita,
esanime,
lasciate la mia pioggia,
lasciate il mio rosso che sgorga,
la mia felicità in istanti,
lasciatemi lontana dalle convenzioni,
lasciatemi la mia ricomposizione,
lasciatemi perdere pezzi e ritrovarli,
il mio passato,
lasciate i miei silenzi,
lasciate i miei occhi,
lasciate le mie mani,
sono quello che sono nel mio nero,
il mio buio,
le mie luci coperte da un velo,
non voglio abbagliare,
non mi interessa,
non voglio essere capita,
non c'è nulla da capire,
nè seguita,
la mia strada non è dritta,
il mio filo non è di lana morbida,
le mie campane non suonano a festa.
Lasciate che io sia.

Odori vacui



Pungente, l'umido della terra
irrigidisce i muscoli e le gambe sollevate.
Osserva i pezzi del tuo corpo smembrato
dondolare a un ritmo circolare del tempo.

Il dolore è silenzio avvolto nel filo spinato,
l' interiorità è appesa a un filo,
gli incubi sono tangibili  questa notte.

Non c'è posto per chi si decompone,
per chi è corroso e non si accontenta,
per chi col  pensiero
guarda a ritroso nel tempo.

Odori familiari troppo lontani
per associarli alla materia,
odori di tempi passati e ingestibili,
il cui ricordo appartiene a un'altra vita.

Che Riflesso sterile.

Soffocare per l'ennesima volta
nella memoria ingannatrice,
alla ricerca di quel brandello di emozione
che non ci rende solo un mucchio d'ossa
spolpato male.

Polaroid



Era forse libertà,
quando sognando brillavi,
e il tuo riflesso
non era mai stato cosi bello.
E forse erano le parole
o l'odore di tabacco,
o forse era la violenza
di uno sguardo sul tuo corpo,
quando il silenzio era piacevole
e la musica ti passava attraverso
e vibravi,
e lo sentivi.

Ragion d'essere



Ciò che ci distingue dalle bestie non è la ragione, è il sorriso. E' il primo atto di comunicazione sociale che un cucciolo d'uomo compie quando viene scaraventato in questa vita senza che nessuno glielo abbia chiesto, perchè non sa cosa gli aspetta.
Se prima era un segnale per comunicare, per gioire, per dire sono felice di vederti, per meravigliarsi delle cose, col tempo imparerà a gestire quest'arma semplicemente  per ottenere qualcosa, per adeguarsi alle circostanze,la userà  quando stringe una mano circondata dalla manica di una camicia, per dire grazie a un regalo di cui non gli importa nulla, per sedurre, per lasciare, per beffeggiare.
Un amico che sorride non sempre è sincero, una donna che sorride non sempre è perchè trova piacente il suo interlocutore, un uomo che sorride spesso sorride al suo fine, un bambino che sorride, lo fa e basta.
In effetti, a pensarci bene quando subentra la ragione, diveniamo più bestiali di quello che pensiamo.

E il tempo si fermò


·Quella notte non volevo rientrare a casa. Era una notte di tristi presagi, l'aria ne era satura. Andai a letto  in attesa, certa di un qualcosa che sarebbe accaduto, ma non riuscivo a pensare, come  bloccata dal tempo che improvvisamente si mise a correre inafferrabile e tagliente. E le parole che avrei dovuto dire non le ho mai dette, e ciò che sentivo non bastava. E il tempo si fermò, quando quel maledetto campanello squillò e ruppe la mia attesa, e si fermò davanti a un corpo che non riconoscevo più, in un'espressione che mai avevo visto su quel viso,e che mai potrò dimenticare. E il tempo si fermò, ora che non posso parlare, ora che non posso cambiare gli eventi, portado addosso le mie colpe, senza più poter muovere il mio braccio in una carezza che avrei dovuto darti, quando il tempo ci accompagnava.

Riflesso parte II


Ma la dama che dormiva tra i pezzi di vetro
un giorno si specchiò
in un riflesso impaurita
perchè in fondo
voleva solamente un canto
e quella musica che sentiva
quella notte non le fece emettere nessun suono,
perchè tutto era enorme e ingestibile
e vacillò paralizzata
e si addormentò con un varco
nella sua diga,
profonda e scura,
e il liquido salato
le annebbiò la vista
cristallino e puro
come le parole che si era portata a casa
che raccolse in un sacchetto,
che profumava, e di cui non si sentiva degna.
E avrebbe voluto aprirsi
il corpo con uno dei suoi pezzi
di vetro, estrarre quel tamburo dalla sua
cassa di risonanza, strapparne una briciola
e donarla, tieni ingoiami, portami con te
perchè non sono nulla
ma ti ringrazio
per aver fatto vibrare la mia distorsione.

Riflesso



Ed era li la dama in rosso che aspettava di giocare,
osservava gli avversari nel silenzio,
lo specchio che teneva in mano si ruppe
cosi come si ruppe qualcosa al suo interno
e l'anima sprofondò in mille pezzi
luccicanti, ma ciò che li faceva brillare di più
era la loro compatezza.
E li cercò invano disposti
sul letto, e ogni volta un affilato e tagliente
coccio le apriva la carne,
sanguinava, e l'immagine riflessa
altro non era che sporco e denso liquido.
Nel lirismo di un'amore effimero si perdeva
e si regalava una briciola
com'era lei, una briciola,
in cerca di vita
leggera come zucchero filato,
in cerca di  una piccola morte,
profonda come un pozzo.

Dualità


Inscatolate due anime nello stesso corpo
una e una soltanto
prende il sopravvento
e annienta ogni luce
nei sogni, rieccheggia,
emerge dalle pupille e invade l'interno in esplosione
un fucile puntato alla tempia
spara cazzo, fallo
una volta per tutte
che questa dualità
non voglio sconfiggerla
voglio solo che
si stringano per mano
il passato e il presente,
la senti mentre arriva
attorciglia lo stomaco in una morsa
e vorresti che quella mano
invisibile ti strappi da dentro
tutto
lasciandoti vuoto
inerme
indifeso
il contenitore su cui sei distesa,
di traverso
trafitta
ostinatamente
da proiettili che arrivano perfetti
luccicanti
urlanti
e che
lasciano ancora qui,
il corpo.

Anima e Carne


Inventarmi ciò che non mi appartiene è rinnegare ciò che sono.
Vorrei ingoiarmi x capire che consistenza ho,
comprendere se il mio sapore è solo di carne lasciata al sole 
guardo la mia armatura posata per un momento,
non c'è lotta stavolta, nè fuga, mi penso con amarezza.

Il corpo è solo un corpo
come quello di tanti manichini appesi
che dondolano, e non è il dolore
che mi spaventa,
e nemmeno il sangue o la morte,
ma il sentito, nel mio disordine,
quello si che fa paura.

Temo lo sguardo che mi rende nuda
e mi fa scivolare
come se mi attraversasse
tracollo, nella vertigine, di un attimo
e per un attimo il mondo si ferma
e la mia dolce amarezza
vorrebbe diventare veleno
succulento
e il mio corpo, vorrebbe dormire,
lontano da se stesso.

Una storia che non ha nulla da raccontare


Questa è una storia, che inizia come tante
senza canti che l'accompagnano, nè grandi gesta,
nessun eroe.

Questa è la storia di una donna che per amore di un uomo
allevò sette figli non suoi, che conobbe una bambina e quella bambina ebbe finalmente
un'amica, ma non era una compagna di giochi,
troppo anziana per ricominciare a vivere,
troppo stanca. Un giorno partì con le sue due tartarughe,
e la bambina la ricordò cosi, fu l'ultima volta che la vide,
e dovette abituarsi a quella sedia vuota sul cortile,
al silenzio, a più nessuna storia, a nessuna caramella rubata dalla finestra.

Questa è la storia di un uomo
dagli occhi azzurri, vivi e penetranti,
il più bello del paese che per amore lottò contro chi detestava,
ma la bontà di quell'uomo non era per un guerriero,
cosi si cercò una compagna,e non era la più bella del paese,
ma lei lo volle cosi tanto al suo fianco,
che andò contro la sua famiglia, fiera ed orgogliosa,
non abbassava lo sguardo mai e rimasero insieme a lungo,
e per molto tempo, quando lei morì, si poteva sentire la voce di un vecchio che
chiamava ancora il suo nome.

Questa è la storia di un uomo,
pieno di sogni ma che non riuscì a realizzarne nemmeno uno,
perchè la vita non glielo permise, e quando finalmente avrebbe potuto realizzarli forse,
si ammalò, e tutta la sua vita finì in un istante, e aspettò la morte,
solo una promessa che gli era stata fatta fu mantenuta,
solo quella,
per il resto aspettò nel buio,
in silenzio, la notte, nei suoi rimpianti.

Questa è la storia di una bambina
a cui furono regalati dei fazzoletti di cotone
alla sua nascita, e che sempre poi dovette usare,
per troppo tempo troppo a lungo,
a cui fu regalato un sogno, ma erano tanti sogni di altri,
e che ora avrebbe tanto da raccontare,
ma preferisce stare muta ad osservare.

Questa è la storia di una casa, che prima era una stalla
e che stanza per stanza divenne grande
e bella, e calda, e ci fu tanta gente che abitò quelle mura,
ma ora è vuota, quella gente non c'è più,
c'è chi non può tornarci e chi non vuole,
e il tetto di fianco crolla,
come crollò l'equilibrio la dentro
in più di una notte.

E questa è la storia che non ha più storia
se non in un ricordo appannato
di un tetto caduto.
Di due tartarughe, di amore e coraggio, di sogni rotti
e fazzoletti di cotone in un cassetto.

Ma le fiabe non lo sanno


Vorrei avere scarpe rosse e ballare il tip tap,
 incontrare chi pensa di non avere coraggio,
 un cervello o un cuore.
Vorrei essere enorme in una casa minuscola,
parlare con un coniglio sempre in ritardo
e un matto con un cappello strampalato.
Vorrei un lieto fine, ma non mi è concesso,
perchè sono solo una regina di cuori,
 una strega che si scioglie con l'acqua,
 una Dorothy di plastica,
un' Alice troppo realista
per vivere in un mondo fantastico.

Bilancia verticale


Una linea che divide a metà il corpo,
che passa attraverso gola stomaco e ventre,
esatta, perfetta,
inizia dal punto in cui si introduce il cibo e passa attraverso quel tubo che ci percorre ininterrottamente, 
annodandosi e contraendosi,
per arrivare in un altro, sotto il cerchio perfetto dell'ombelico, 
in cui la fame diventa di spirito.
E cibo e carne diventano un tutto, ma al di sopra,
ciò che si introduce è morto e da nutrimento al corpo, 
al di sotto, alla fine della linea che lo divide in due metà perfette, 
il nutrimento è dato dallo spirito e proviene da carne viva,
in uno scambio che ha in se, 
vita e morte insieme.