Nessun suono

Non parlare. Non dire nulla. Smembrami. Divora il pulito. La luce. Non riesco a muovermi ora. Ti sto maledicendo. Sto maledicendo quello che provo. Sto maledicendo il corpo che mi contiene. Vorrei esplodere. Scarnificare il tuo cranio e raccogliere in un secchio il sangue. Dipingere le mie pareti di rosso. Berne un po. Sporcarmi. Sentirti dentro. Succhiarti gli occhi dopo averli appoggiati sul comodino. Guardarli fissi. Farli rotolare. Schiacciarti lo sguardo. Vestirmi con una collana di dita. Disporle in cerchio infilzate nel fegato. Infilzate nel mio collo. Fare del resto un cumulo di macerie. Un cumulo di carne. Tutto è carne. Molle carne con cui creare forme innaturali. Nuove. Luccicanti.

Evocazione


Corrono i demoni alle mie spalle
Sento il  respiro sul collo
Lungo il sentiero, laggiù nella valle

La dama alza le braccia
Il bianco vestito
Ecco la traccia
Si sporca di sangue

che il rituale abbia inizio

lo specchio rivela
la stella  protegge
la fiamma si spegne
e il cosmo risponde

danzano le vergini intorno al fuoco
danzano intorno al macabro gioco
assaporate dall’assemblea
costituita per la sua dea

la folata di vento
inquieta e distrugge
e nel cerchio lento
la dama si strugge

la notte sovrana
avrà la sua regina
dalla sua sottana
nascerà una bambina

demoni in festa
in un orgasmo lunare
alla dama mesta
non resta che urlare


Dis-affezione

Questo autunno non vuole finire. 
Questo autunno è una stagione di dodici mesi. 
Questo autunno la svegliava. 
Cucito a strati sulla sua pelle. Su cumuli di scarpe spaiate. Senza piedi. I piedi che vanno in coppia. Scoppiati. Uno da una parte, uno dall'altra. Cucito sopra un dis-ordine e un dis-sapore che ogni cosa che leccava aveva. Quando non capisci le cose le lecchi. La bocca, è il tramite per capire perchè diavolo non siamo più circondati da acqua e caldo. Niente acqua. Tutto solido e spigoloso. E noi allora lo lecchiamo. Lecchiamo per prendere familiarità. E tutto è sempre solido. Ma umido. E le cose ci sembrano meno brutte.
Leccava le giornate. Ogni cosa era in un posto sbagliato. Una da una parte, una dall'altra. Camminava in un cammino spaiato.Senza piedi. Tra foglie secche e pensieri masticati. Indossava l'autunno.
Il risveglio-lecca lecca era d'obbligo ogni mattina. Li succhiava quei rimasugli di  tormenti nottambuli appena finiti. Maledetti bastardi, i ricordi, nessuno lo sa come si trasformano quando si raggiunge l'invisibile. Quando chiudi gli occhi al reale. Li succhiava, ingoiava e digeriva. Avrebbe voluto anche espellerli. Ma questo è un altro discorso. Proseguiva la giornata nel dis- senso, tra il dis-ordine e il dis-sapore che aveva intorno. Tutto decisamente poco umido, negandolo.
Il sole si frantumava in luce.Infilzava e rendeva visibile l'esterno che da un punto qualunque osservava. Ne allungava cosi le ombre. Il dettaglio rischiarato e la sua parte uniforme. Tagliati. Vestiti di bellezza.Resi visibili. Insieme. In effetti se le cose non avessero anima, non potrebbero avere ombre.Ma sarebbero incomplete illuminate.
Nel dis-astro, aspettava l'estate, che dopo dodici mesi sarebbe arrivata senza mezze misure. Già. In attesa di quel caldo che prima o poi avrebbe dis-gelato foglie, piedi e lecca lecca.  Sciogliendoli in  gusti cosi variegati che la sua bocca non avrebbe avuto pace. In un ordine e un sapore che forse avrebbe avuto senso. Un senso dis-armonico. Svestito di autunno.Cucito,però,a strati.Sulla pelle.


Linea di confine


Il corpo è solo un tramite. Nel corpo risiede lo spirito, si innalza quando prova emozione, si distrugge quando diventa oggetto. Nella mente risiede il bisogno di essere amati. Il corpo è il tramite per toccare l'emozione. Nell'amore, l'inganno per lo spirito. La mente governa tutto.  Le parole violente  uccidono l'emozione e riducono l'altro ad oggetto, forza di un controllo effimero,  forza brutale che  salva dallo scambio. Non c'è canto negli oggetti. La mente si nutre dell'opposto di cui necessita, e crescono alberi intricati al suo interno, ricoprono il corpo, lo spirito avvizzisce. 
Il mio involucro necessita di protezione. Non provo amore, il mio amore è distorto.
È distorto il mio amore che grida. La prima volta, volevo urlargli in faccia che non volevo la sua devozione, l’ho spinto ad essere violento, volevo la sua violenza su di me, volevo annullarmi, provocarlo. La gentilezza mi feriva. Mi feriva il suo modo di guardarmi, mi ferivano le sue attenzioni, la gabbia di cristallo in cui stavo. Come una belva mi dibattevo e stavo muta, il dolore doveva essere trasferito, volevo che diventasse belva, come me, due animali in sacrificio su un altare. Incitavo il suo lato oscuro, vieni fuori pensavo, non chiedermi nulla, devastami, non devi proteggermi. Dipendenza dondolante, la mia condizione animalesca non era cambiata, dalla  gabbia ero uscita con un guinzaglio, pensavo che innalzando la potenza, l’avrei legato per sempre, cosi come un cane si sacrifica al suo padrone, vittima di un giogo di cui io ero il carnefice. La mia inquietudine doveva essere placata, lo lasciavo fare per sentirsi enorme, mio pari, un magnifico vuoto a rendere.
Diveniva altro, il delirio che si infrangeva sugli scogli, aveva bisogno di concretezza fisica per materializzarlo e finirlo, nell’esaltazione del momento ero piccola, sbranata, paludosa, era quello che volevo, essere stagnante. Divenire un oggetto. Scomparire.  Uno sfogo di malessere e di insicurezze. Di rabbia. Un capro espiatorio. Polverizzami. Risorgerò. Nel vento mi alzerò e sarò leggera. Profumerò di incenso e calendula. Sarò pulita come un raggio che entra da una fessura,  nella luce, la polvere danzerà.

Corsa onirica

Correvo tra gli alberi deformi, 
si allungavano  mani scheletriche dai rami, 
correvo e la voce mi chiamava.
Tra bambole di porcellana il viso di un fool ghignante 
reclamava diritti che non aveva,
da tempi che non ricordo, 
nella mia infanzia lo incontravo là, 
nello specchio.
Correvo e i miei capelli raccontavano una storia.
Sentivo le sue mani toccarmi i fianchi, 
echeggiava nella stanza la sua risata,
diceva che ero sua.
Correvo tra bambini senza volto,
senza volto era anche il mio,
appesi in un tendone da circo, 
gli occhi senza sguardo, 
volevo tagliare loro la gola.
Correvo tra bozzoli bianchi di donne, 
teli di seta candidi le avvolgevano, 
ci camminavo sopra
sentivo le ossa scricchiolare sotto di me.
Correvo avvolta da lingue umide,
mi bagnavano il collo, 
mi invadevano il corpo come serpi bramose.
Correvo e le mie mani cantavano una storia,
una voce mi cadeva addosso.
Due date.
La nebbia mi abbraccia, 
finalmente sono a casa,
la mia foto non ha nemmeno un fiore,
una donna dietro di me piange.